«Se Auschwitz non ha guarito il mondo dall’antisemitismo,
cosa potrà guarirlo?» ( Elie Wiesel, premio Nobel per la pace
e sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti)
ANTISEMITISMO QUOTIDIANO
Ha scritto non molto tempo addietro Sergio Harari sul “Corriere della sera” che l’antisemitismo non è solo quello di Auschwitz , delle leggi razziali del 1938, della Shoah e del negazionismo, ma è anche quello che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni. Aggiungendo, fra l’altro, che mai come in quest’ultimo anno gli sia capitato di sentirsi a disagio per battute e frasi idiote pronunciate con assoluta normalità, come se non si stesse dicendo nulla di male, né tantomeno qualcosa di razzista.
Gli è infatti - anche se, nell’attuale clima culturale favorevole come non mai alla multietnicità e al multiculturalismo, si stenterebbe a crederlo - che l’antisemitismo sta inopinatamente tornando a riempire la nostra quotidianità un po’ ovunque nel nostro Paese. E Venezia, sotto questo profilo, non fa purtroppo eccezione.
La radicata e preconcetta incapacità di taluni nostri concittadini non proprio esemplari ad accettare la diversità e a rispettarla, mista a ignoranza e a una buona dose di antisemitismo d’antan di matrice sia religiosa che laica mai sopito, sta generando e alimentando fortunatamente soltanto in alcune zone di Cannaregio confinanti con il Ghetto e in persone poco o per nulla acculturate un deplorevole e imbarazzante clima di ostilità nei confronti degli ebrei della comunità veneziana Chabad-Lubavitch - presente in Ghetto, accanto ad altre comunità ebraiche, con un suo centro e altre attività di carattere religioso ed educativo – i quali vengono invariabilmente guardati con diffidenza e insofferenza affatto gratuite da parte di molti abitanti di tali zone, oltre che per il loro numero ritenuto eccessivo sulla base di considerazioni meramente personali e soggettive, soprattutto per se stessi: per il solo e semplice fatto di essere ebrei, in altre parole, e di non nascondere affatto tale loro identità grazie al tradizionale e tipico abbigliamento che li contraddistingue. A causa del quale essi vengono inoltre fatti spesso oggetto di battute idiote da parte di qualche esimio sprovveduto che, in ossequio a quale eccelso criterio di gusto estetico non è dato sapere, non si perita di ritenere oltremodo ridicolo e fonte di ilarità, anziché rispettarlo e ritenerlo una questione strettamente appartenente a loro e alle loro regole, il fatto che vestano in genere di nero, portino per lo più la barba e che tutti indistintamente non rinuncino durante il giorno al tipico copricapo ebraico di forma circolare (kippah) e alle frange fuori dai pantaloni (tzitzit) come prescrive loro di fare la Torah.
Onde evitare siffatti comportamenti assai poco onorevoli e dignitosi per una città rispettosa delle diverse fedi religiose quale si ritiene debba essere Venezia, ritengo valga senz’altro la pena ricordare a quei veneziani che ancora non lo sapessero che la comunità in questione, piaccia o non piaccia a taluni,fa oggettivamente e legittimamente parte da più di vent’anni anni della vita religiosa, sociale e culturale cittadina e, lungi dall'essere un isolato covo di fanatici religiosi come da più parti è stata talora a torto tacciata, appartiene a uno fra i più grandi movimenti chassidici del giudaismo ortodosso che amministra migliaia di centri, comunità, sinagoghe e scuole sparsi in tutto il mondo. Fornendo assistenza, attività educative e altri servizi non solo ai propri adepti, ma anche agli ebrei in generale. Che è ciò che accade del resto anche a Venezia, dove il centro Chabad-Lubavitch è, fra le altre cose, anche un punto di riferimento per le migliaia e migliaia di ebrei provenienti da tutto il mondo che ogni anno visitano il Ghetto con l’intento fra l’altro, non solo di partecipare alle proprie cerimonie religiose in occasione di festività particolari e di mangiare secondo le proprie tradizioni alimentari pur trovandosi in viaggio e distanti da casa, ma anche di acquisire, attraverso le testimonianze storiche presenti in Ghetto, ulteriori tasselli della propria storia e della propria identità.
E varrà altresì la pena ricordare – sempre a quei veneziani che ancora non lo sapessero - ai fini di una auspicabile maggiore considerazione e rispetto, il tributo di sangue pagato dal movimento a cui la comunità veneziana Chabad-Lubavitch appartiene in seguito all’attacco terrorista di Mumbai del novembre 2008, in cui, come si ricorderà, uno dei luoghi prescelti dai terroristi islamici fu proprio il Centro Assistenziale Chabad-Lubavitch della città indiana, dove vennero trucidati il rabbino capo e la moglie insieme a numerosi loro confratelli e collaboratori.
E ciò, si badi bene, nonostante che il movimento Chabad-Lubavitch sia notoriamente più dedito in genere alla preghiera che all’attivismo politico e assai lungi dal contemplare e propugnare, a differenza di altre componenti dell’ebraismo, sia il sionismo che la legittimità della definizione di Israele quale Stato ebraico. Ma a talune menti obnubilate del mondo arabo il solo e semplice fatto di essere ebrei – al di là delle proprie opinioni e del proprio agire - basta e avanza evidentemente per legittimare e giustificare anche l’agire più truce ed efferato nei loro confronti.
ENZO PEDROCCO
Gli è infatti - anche se, nell’attuale clima culturale favorevole come non mai alla multietnicità e al multiculturalismo, si stenterebbe a crederlo - che l’antisemitismo sta inopinatamente tornando a riempire la nostra quotidianità un po’ ovunque nel nostro Paese. E Venezia, sotto questo profilo, non fa purtroppo eccezione.
La radicata e preconcetta incapacità di taluni nostri concittadini non proprio esemplari ad accettare la diversità e a rispettarla, mista a ignoranza e a una buona dose di antisemitismo d’antan di matrice sia religiosa che laica mai sopito, sta generando e alimentando fortunatamente soltanto in alcune zone di Cannaregio confinanti con il Ghetto e in persone poco o per nulla acculturate un deplorevole e imbarazzante clima di ostilità nei confronti degli ebrei della comunità veneziana Chabad-Lubavitch - presente in Ghetto, accanto ad altre comunità ebraiche, con un suo centro e altre attività di carattere religioso ed educativo – i quali vengono invariabilmente guardati con diffidenza e insofferenza affatto gratuite da parte di molti abitanti di tali zone, oltre che per il loro numero ritenuto eccessivo sulla base di considerazioni meramente personali e soggettive, soprattutto per se stessi: per il solo e semplice fatto di essere ebrei, in altre parole, e di non nascondere affatto tale loro identità grazie al tradizionale e tipico abbigliamento che li contraddistingue. A causa del quale essi vengono inoltre fatti spesso oggetto di battute idiote da parte di qualche esimio sprovveduto che, in ossequio a quale eccelso criterio di gusto estetico non è dato sapere, non si perita di ritenere oltremodo ridicolo e fonte di ilarità, anziché rispettarlo e ritenerlo una questione strettamente appartenente a loro e alle loro regole, il fatto che vestano in genere di nero, portino per lo più la barba e che tutti indistintamente non rinuncino durante il giorno al tipico copricapo ebraico di forma circolare (kippah) e alle frange fuori dai pantaloni (tzitzit) come prescrive loro di fare la Torah.
Onde evitare siffatti comportamenti assai poco onorevoli e dignitosi per una città rispettosa delle diverse fedi religiose quale si ritiene debba essere Venezia, ritengo valga senz’altro la pena ricordare a quei veneziani che ancora non lo sapessero che la comunità in questione, piaccia o non piaccia a taluni,fa oggettivamente e legittimamente parte da più di vent’anni anni della vita religiosa, sociale e culturale cittadina e, lungi dall'essere un isolato covo di fanatici religiosi come da più parti è stata talora a torto tacciata, appartiene a uno fra i più grandi movimenti chassidici del giudaismo ortodosso che amministra migliaia di centri, comunità, sinagoghe e scuole sparsi in tutto il mondo. Fornendo assistenza, attività educative e altri servizi non solo ai propri adepti, ma anche agli ebrei in generale. Che è ciò che accade del resto anche a Venezia, dove il centro Chabad-Lubavitch è, fra le altre cose, anche un punto di riferimento per le migliaia e migliaia di ebrei provenienti da tutto il mondo che ogni anno visitano il Ghetto con l’intento fra l’altro, non solo di partecipare alle proprie cerimonie religiose in occasione di festività particolari e di mangiare secondo le proprie tradizioni alimentari pur trovandosi in viaggio e distanti da casa, ma anche di acquisire, attraverso le testimonianze storiche presenti in Ghetto, ulteriori tasselli della propria storia e della propria identità.
E varrà altresì la pena ricordare – sempre a quei veneziani che ancora non lo sapessero - ai fini di una auspicabile maggiore considerazione e rispetto, il tributo di sangue pagato dal movimento a cui la comunità veneziana Chabad-Lubavitch appartiene in seguito all’attacco terrorista di Mumbai del novembre 2008, in cui, come si ricorderà, uno dei luoghi prescelti dai terroristi islamici fu proprio il Centro Assistenziale Chabad-Lubavitch della città indiana, dove vennero trucidati il rabbino capo e la moglie insieme a numerosi loro confratelli e collaboratori.
E ciò, si badi bene, nonostante che il movimento Chabad-Lubavitch sia notoriamente più dedito in genere alla preghiera che all’attivismo politico e assai lungi dal contemplare e propugnare, a differenza di altre componenti dell’ebraismo, sia il sionismo che la legittimità della definizione di Israele quale Stato ebraico. Ma a talune menti obnubilate del mondo arabo il solo e semplice fatto di essere ebrei – al di là delle proprie opinioni e del proprio agire - basta e avanza evidentemente per legittimare e giustificare anche l’agire più truce ed efferato nei loro confronti.
ENZO PEDROCCO
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