AMARCORD / LA LEZIONE DEL “MONDO”
“Il Mondo”(1949-1966), il periodico diretto e fondato da Mario Pannunzio, fu per molti della mia generazione , non solo un prezioso e prestigioso organo di informazione scritto dal fior fiore degli intellettuali del tempo, italiani e non, ma anche una vera e propria scuola di un modo affatto nuovo, almeno per il nostro Paese, di fare giornalismo tramite la fotografia: chè i fotografi che vi collaboravano - dal mitico Cartier-Bresson, fondatore, insieme a Robert Capa e a David Seymour, della famosa Agenzia Magnum, a fotografi del calibro di Federico Patellani, Enzo Sellerio e altri - costituivano il meglio di ciò che altrove era stato definito, già da tempo, come “fotogiornalismo”.
Va senz'altro ascritto al “Mondo” a quest'ultimo proposito, per esempio, se incominciò a farsi finalmente strada anche nel nostro Paese l'opinione secondo cui, accanto al fotografo che toccato, per così dire, dall’aura del genio era solito produrre fotografie invariabilmente belle, ispirate e per lo più a se stanti, c'era anche il fotografo che, molto più modestamente e prosaicamente, era solito invece produrre fotografie correlate fra di loro e in cui la maggior attenzione era posta in genere più al contenuto che alla bellezza formale, al fine di documentare, quanto più esaurientemente possibile, un determinato tema o problema: svolgendo, con altri mezzi, una funzione affatto analoga a quella del giornalista.
E non fu certamente un caso se, dopo il successo del “Mondo”, dovuto soprattutto alla finissima sensibilità fotografica e giornalistica del suo fondatore e direttore, il fare informazione per immagini, preoccupandosi soprattutto di documentare e informare, anziché ricercare a ogni costo la fotografia “bella e ispirata”, attecchì diffusamente nella stampa periodica italiana e precipuamente in rotocalchi quali “L’Espresso”, “Epoca” etc., notoriamente improntati per lo più a tale modo di fare giornalismo, che in seguito a ciò, e a dispetto di taluni anacronistici soloni del giornalismo nostrano, incominciò ad acquistare anche nel nostro Paese la dignità e la considerazione di cui già godeva da tempo in altri Paesi, fra cui, in primo luogo, gli Stati Uniti.
ENZO PEDROCCO
“Il Mondo”(1949-1966), il periodico diretto e fondato da Mario Pannunzio, fu per molti della mia generazione , non solo un prezioso e prestigioso organo di informazione scritto dal fior fiore degli intellettuali del tempo, italiani e non, ma anche una vera e propria scuola di un modo affatto nuovo, almeno per il nostro Paese, di fare giornalismo tramite la fotografia: chè i fotografi che vi collaboravano - dal mitico Cartier-Bresson, fondatore, insieme a Robert Capa e a David Seymour, della famosa Agenzia Magnum, a fotografi del calibro di Federico Patellani, Enzo Sellerio e altri - costituivano il meglio di ciò che altrove era stato definito, già da tempo, come “fotogiornalismo”.
Va senz'altro ascritto al “Mondo” a quest'ultimo proposito, per esempio, se incominciò a farsi finalmente strada anche nel nostro Paese l'opinione secondo cui, accanto al fotografo che toccato, per così dire, dall’aura del genio era solito produrre fotografie invariabilmente belle, ispirate e per lo più a se stanti, c'era anche il fotografo che, molto più modestamente e prosaicamente, era solito invece produrre fotografie correlate fra di loro e in cui la maggior attenzione era posta in genere più al contenuto che alla bellezza formale, al fine di documentare, quanto più esaurientemente possibile, un determinato tema o problema: svolgendo, con altri mezzi, una funzione affatto analoga a quella del giornalista.
E non fu certamente un caso se, dopo il successo del “Mondo”, dovuto soprattutto alla finissima sensibilità fotografica e giornalistica del suo fondatore e direttore, il fare informazione per immagini, preoccupandosi soprattutto di documentare e informare, anziché ricercare a ogni costo la fotografia “bella e ispirata”, attecchì diffusamente nella stampa periodica italiana e precipuamente in rotocalchi quali “L’Espresso”, “Epoca” etc., notoriamente improntati per lo più a tale modo di fare giornalismo, che in seguito a ciò, e a dispetto di taluni anacronistici soloni del giornalismo nostrano, incominciò ad acquistare anche nel nostro Paese la dignità e la considerazione di cui già godeva da tempo in altri Paesi, fra cui, in primo luogo, gli Stati Uniti.
ENZO PEDROCCO
Nessun commento:
Posta un commento